Lo zero

Stamani la collega di scienze umane mi ha detto che aveva accennato in una nostra classe allo zero e a Fibonacci e mi chiedeva, se mi capitava di parlarne in classe. Felice di poter parlare di queste cose, felice ancora di più di avere colleghe che me le chiedono, ho girellato  su web per rinfrescarmi un po’ le idee. Perché dello zero si sa che è una cifra un po’ stramba anche solo per come si comporta nelle operazioni: assorbente nella moltiplicazione;  e poi vuol fare la diversa nella divisione: l’unica operazione che si dice non si può fare è la divisione per zero. Ma a parte questo, è una cifra strana proprio dall’origine: se ci pensate bene i numeri servivano per contare quantità: gli uomini della legione, i nemici morti, le pecore del mio gregge:  a nessuno mai poteva venire in mente di creare un simbolo per il niente, per il vuoto, per il nulla. ma nelle popolazioni che usavano un sistema di scrittura posizionale (dove cioè le cifre avevano un diverso significato a seconda della posizione) diventava importante segnare le posizioni vuote per non confondere 203 con 2 e 3  o con 23. Allora si è cominciato a segnare in qualche modo la posizione vuota.

I Babilonesi (vissuti tra il 23° e il 6° sec. aC) usavano un sistema di numerazione posizionale a base 60 (fino a 60 usavano una sorta di sistema additivi, tipo quello della numeri romani per intenderci) . Quando una posizione era vuota lasciavano uno spazio ma questo causava errori e allora hanno cominciato ad usare un simbolo per indicare la posizione vuota:  due cunei obliqui:

Questo simbolo non era considerato un numero cioè un simbolo per rappresentare la quantità nulla.

Per i curiosi ecco le cifre dei Babilonesi

La civiltà dei maya ha raggiunto il suo massimo splendore tra il 250 e il 925 d.C. e, pur non avendo avuto nessun contatto con la civiltà babilonese, si è posta il problema dello zero ma per motivi molto diversi. la numerazione dei Maya era molto complicata e si basava sull’anno solare: aveva più basi che si chiamavano in modi diversi. Gli dei erano raffigurati mentre portavano i numeri: così, per motivi religiosi, poiché non gli sembrava carino che qualcuno tra loro non portasse niente crearono un oggetto, una conchiglia vuota, da far loro portare quando non c’erano numeri.

La prima descrizione formale dello zero come numero è stata proposta da Brahmagupta, un geniale astronomo e matematico nato nel 598 d.C. in India. Scrisse un trattato in cui introduce i numeri negativi e  il numero zero descrivendone alcune proprietà nelle operazioni. Questo trattato fu tradotto in arabo e divenne il testo di riferimento per i matematici arabi per molti secoli.  Uno tra i più importanti matematici arabi fu Mohammed ibn-Musa al-Khwarizmi (780-850), che scrisse tra gli altri, un trattato “Sul calcolo coi numeri indiani” (825),  che dette  un importante contributo alla diffusione del sistema di numerazione decimale e dello zero come numero. Al-Khwarizmi gettò anche le basi dell’algebra nel suo libro “Al-Kitab al-mukhtasar fi hisab al-jabr wa’l-muqabala”

Dato che, come si è visto, gli arabi hanno avuto il merito di diffondere il sistema indiano su larga scala, comunemente si attribuisce loro la scoperta del sistema posizionale e delle cifre, compreso lo zero, in realtà scoperte dagli indiani. Proprio
perchè gli arabi hanno diffuso il sistema, alla loro lingua è legata l’etimologia di alcune parole. Ad esempio, la parola cifra, in seguito ad un allargamento semantico, deriva dall’arabo zifer (zero), così come anche la parola zero proviene dallo stesso termine arabo zifer. Algebra deriva invece dall’arabo Al-jabr (calcolo).

Il primo a portare a conoscenza del mondo occidentale il sistema posizionale indiano completo, il numero zero e le tecniche di calcolo fu il matematico Leonardo Fibonacci (1170 – 1250), pisano, che basandosi sul Sind Hind e sugli scritti dei matematici arabi scrisse il Liber Abaci (1202). In questo libro non solo viene presentato il sistema di numerazione indiano, ma anche la sua efficienza nel calcolo. Ecco come Fibonacci presenta le cifre indiane all’inizio del Liber Abaci.

Novem figure indorum he sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus, ut inferius demonstratur.
(Leonardo Fibonacci – Liber Abaci – Capitulum I)
 
Fibonacci non si limita a parlare dell’astratto, ma nel Liber Abaci descrive anche diversi campi di applicazione del nuovo sistema, come la contabilità per il commercio, la conversione delle unità di misura, il calcolo degli interessi ed altre pplicazioni finanziarie. Tuttavia il sistema indiano rimane utilizzato solo dai matematici fino al XV secolo, per poi diffondersi tra la popolazione tramite la stampa. Pensate che nel 1299 a Firenze il Consiglio cittadino emanò un’ordinanza che dichiarava illegale l’uso dei numeri nei libri contabili: le somme andavano indicate in parole, perché lo zero poteva essere facilmente mutato in 6 o 9.

Chiedo scusa per questi appunti scritti un po’ in fretta e furia e in maniera approssimata e con diversi copia-incolla, ma mi faceva piacere fissare qualche idea per me e per i miei studenti. Rimando ad alcune fonti, sia per una trattazione più dettagliata e precisa delle cose alle quali io ho accennato sia per affrontare altri aspetti dell’argomento (filosofia, arte, religione):

– una tesina per un corso di laurea in informatica

– la trama del libro Zero Storia di una cifra di Robert Kaplan scritta da Amolamatematica.

– una tesina per l’esame di stato pubblicata su matematicamente.it

Buon lavoro!

E se trovate altre cose interessanti, scrivetele.

Buon lavoro!